Città verdi, città giuste?

Città verdi, città giuste?

Disuguaglianze climatiche

Il cambiamento climatico non va considerato solo un tema ambientale, ma anche una sfida profonda di giustizia sociale. Spesso si parla di giustizia intergenerazionale, sottolineando l’importanza di tutelare gli ecosistemi per garantire un futuro vivibile. Questo principio è riconosciuto anche dall’articolo 9 della Costituzione italiana: “La Repubblica […] tutela l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni“.

Ma il cambiamento climatico genera uno squilibrio fondamentale anche in tema di giustizia sociale nel presente. Esiste una disparità tra chi produce le emissioni e chi ne subisce le conseguenze. I Paesi più ricchi hanno costruito il proprio sviluppo con alte emissioni di gas serra. Tuttavia, i danni più gravi di questo sviluppo colpiscono soprattutto le popolazioni più vulnerabili, come i Paesi del Sud globale, comunità indigene, i piccoli agricoltori. Mentre i Paesi industrializzati continuano a emettere CO₂, in molte zone del mondo si affrontano siccità, alluvioni, migrazioni forzate e perdita di biodiversità.

In entrambi i casi, presente e futuro, emerge una profonda disparità di responsabilità: coloro che causano il danno non coincidono con chi ne subisce o ne subirà gli effetti. Questa frattura indebolisce la volontà politica e la capacità di risposta, ma affrontare il cambiamento climatico significa anche garantire che costi e benefici siano distribuiti in modo equo e responsabile.

Transizione (in)giusta

A complicare ulteriormente lo scenario, anche le politiche di mitigazione e adattamento adottate a livello nazionale o locale, se mal progettate, possono generare nuove ingiustizie nei confronti delle fasce più fragili della popolazione. Questo rischio emerge particolarmente per le città, divenute protagoniste della transizione ecologica.

Alcuni interventi, pur pensati in chiave sostenibile, trascurano le condizioni sociali delle comunità locali, aggravando situazioni di vulnerabilità. È il caso, ad esempio, dei regolamenti sull’efficienza energetica o della riqualificazione edilizia, che, se non accompagnati da adeguate politiche abitative, rischiano di rendere l’accesso alla casa più difficile per le fasce a basso reddito. Lo stesso vale per le infrastrutture verdi, come parchi urbani, tetti verdi o corridoi ecologici, o per i sistemi di mobilità sostenibile: strumenti utili per l’adattamento climatico, ma che possono generare effetti collaterali se non pensati in chiave inclusiva.

Crisi climatica, crisi sociale

Se da un lato queste trasformazioni migliorano la qualità ambientale e contribuiscono a mitigare gli effetti delle ondate di calore, dall’altro possono innescare processi di esclusione. L’aumento del valore immobiliare che spesso accompagna le trasformazioni urbane spinge fuori le comunità storiche e meno abbienti, che raramente beneficiano dei miglioramenti ambientali. È il fenomeno della gentrificazione verde.

Lo spazio urbano diventa così un luogo di nuove disuguaglianze: mentre alcuni gruppi traggono vantaggio dalle trasformazioni, altri vengono relegati in periferie più marginali e vulnerabili. Per questo è essenziale che le politiche climatiche urbane integrino obiettivi di giustizia sociale e ambientale, per distribuire in modo equo i benefici della transizione, così da non minare la legittimità delle azioni pubbliche e rendere la transizione stessa un ulteriore fattore di esclusione.

Partecipare per una transizione davvero equa

Bisogna riconoscere non solo la dimensione fisico-climatica del riscaldamento globale, ma anche la sua natura profondamente sociale. Per garantire una transizione giusta, che comporti una distribuzione equa delle opportunità e dei benefici all’interno della società, è necessario valutare gli impatti delle politiche climatiche sin dalle prime fasi della loro definizione. E per avere un approccio che metta al centro le differenze socio-economiche che influenzano la capacità delle persone di affrontare il cambiamento climatico, è fondamentale promuovere la partecipazione pubblica. Solo così è possibile individuare anche i rischi indiretti legati agli interventi climatici.

Un coinvolgimento autentico e strutturato deve includere residenti, associazioni, comunità marginalizzate e attori non istituzionali, in tutte le fasi del policy-making: dall’identificazione dei rischi alla progettazione e attuazione delle strategie. Solo riconoscendo la dimensione sociale della crisi e promuovendo una partecipazione reale si può costruire una giustizia climatica capace di accompagnare una transizione davvero equa.

Bibliografia

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