Comunicazione, facilitazione e partecipazione: incontro con Sergio Vazzoler

Comunicazione, facilitazione e partecipazione: incontro con Sergio Vazzoler

Sergio Vazzoler

Se è vero che facilitazione e partecipazione sono temi intimamente connessi ai processi di comunicazione, è vero anche che le professionalità che seguono gli uni e gli altri sono molto diverse. Per questa ragione abbiamo incontrato Sergio Vazzoler, partner di Amapola, consulente in comunicazione d’impresa, ambientale, e della sostenibilità. Autore di diverse pubblicazioni e di interventi, è senz’altro la persona più indicata per aiutarci a capire il funzionamento di questa connessione ma anche per illustrarci criticità e snodi fondamentali.

Rispetto a qualche anno fa la sostenibilità è diventato un tema di attualità. Con tutta questa attenzione, che genera anche molta confusione, è effettivamente possibile comunicare in modo efficace?

In un contesto caratterizzato da un elevato rumore di fondo, comunicare in modo efficace diventa ancora più un dovere per le organizzazioni impegnate (sul serio) in un percorso di sviluppo sostenibile e transizione ecologica. Certo, per farlo, occorre rafforzare la consapevolezza in merito ai pilastri del comunicare la sostenibilità: trasparenza, autenticità e semplicità.
Le prime due caratteristiche sono strettamente legate e si traducono nel dare conto di quanto effettivamente si sta facendo. Diventa praticamente vietato sorvolare sui deficit rispetto agli obiettivi prefissati o, al contrario, esagerare le virtù sostenibili: a pagare è una comunicazione focalizzata sul “percorso” che sappia motivare le scelte compiute, gli aspetti ancora da migliorare e gli errori commessi. La sostenibilità è tale solo se “trasformativa” e, dunque, non è una passeggiata: è del tutto naturale che le organizzazioni impegnate nel percorso siano in difficoltà rispetto alle tante sfide ESG (environmental, social and governance) da affrontare.
Se si riesce a essere trasparenti e autentici, per raggiungere tutti gli interlocutori nel condividere il percorso, coinvolgerli e responsabilizzarli, bisogna imparare a semplificare il proprio linguaggio, per renderlo accessibile a chiunque e facilmente verificabile nel merito. La sfida è talmente seria e impegnativa che ha bisogno del contributo di tutti, nessuno escluso. Ecco perché “il difficile è farla semplice”: bisogna investire sulla cultura della comunicazione in modo che si riesca ad allargare la platea di chi può consapevolmente partecipare al percorso, partendo dalle complessità insite in questi percorsi e trovando le chiavi di accesso per i nostri interlocutori, evitando al contempo di banalizzare o omettere informazioni rilevanti.

Occupandoci di facilitazione e partecipazione, ci siamo resi conto fin da subito che istituzioni e imprese hanno una certa difficoltà a distinguere il coinvolgimento delle persone con le attività di comunicazione. Qual è il tuo punto di vista?

Anche in questo caso non c’è da stupirsi. La tentazione della scorciatoia è sempre dietro l’angolo. Molte organizzazioni che comprendono la necessità di ingaggiare i propri pubblici tendono a equiparare l’attività di partecipazione con quella di comunicazione, sottovalutando l’importanza strategica di avere competenze integrate di facilitazione e comunicazione. Il rischio è attivare processi partecipativi su basi d’argilla: senza un attento presidio nella preparazione dei materiali informativi, degli strumenti e dei canali di comunicazione a supporto di questi processi ma, soprattutto, senza un linguaggio divulgativo e coinvolgente, usando un gioco di parole, “la facilitazione si complica” e rischia di diventare controproducente.

Spesso gli amministratori pubblici si lamentano che i cittadini non si interessano alle decisioni che li riguardano, non partecipano alle assemblee e agli incontri pubblici. I cittadini, a loro volta, contestano di non essere coinvolti e che le decisioni vengono sempre prese a loro insaputa. Chi sbaglia dei due? In termini di comunicazione come si può intervenire?

Qui mettiamo il dito nella piaga. La crisi di fiducia nei confronti di tutto quanto è istituzionale ha raggiunto livelli davvero preoccupanti e anche l’effetto pandemia (quando, cioè, i cittadini si sono affidati in larga parte alle decisioni delle autorità pubbliche) è presto svanito e il record di astensionismo al voto rappresenta soltanto la punta dell’iceberg. In questo contesto, attivare e coinvolgere i cittadini sfiduciati è un compito sempre più impegnativo: non sono sufficienti credibilità e autorevolezza, servono empatia, creatività e innovazione per rimettersi in connessione con le persone. Non solo. Non si può prescindere dal sapere affrontare il crescente individualismo esasperato dall’utilizzo dei device sempre connessi che, in realtà, minano la dimensione collettiva e sociale. La comunicazione può intervenire se viene interpretata nel suo significato originale di “messa in comune”: solo mettendo in discussione giorno dopo giorno il proprio modo di comunicare, ascoltando e provando a cambiare punto di vista, si può riuscire ad accorciare le distanze e a trovare nuove strade di collaborazione con la cittadinanza, per poi responsabilizzarla nelle decisioni.

ESG, SDGS, direttiva CSRD, ma anche carbon free, gender gap… il linguaggio della sostenibilità si arricchisce ogni giorno di nuovi acronimi, anglicismi e modi di dire. Come aiutare imprese, istituzioni e cittadini a muoversi con consapevolezza in questo caos?

Chi, come me, lavora nella comunicazione della sostenibilità da tanti anni, deve mettere insieme successi e fallimenti raccolti nel percorso e operare un costante fine tuning tanto nelle forme del linguaggio quanto nella selezione degli strumenti a disposizione. Si pensi alla ennesima rivoluzione in atto con l’applicazione su larga scala dell’Intelligenza Artificiale: il comunicatore deve aggiornare il proprio set di lavoro, acquisire nuove competenze ma al contempo continuare a farsi domande per evitare di farsi guidare dalla tecnologia.
Nel solco di questa continua rivisitazione del mio lavoro, mi sento di consigliare il decalogo della comunicazione ambientale come punto di partenza per imprese, istituzioni e cittadini: è una pubblicazione snella e pratica che tenta di facilitare il compito non negando la complessità.

E per chi volesse approfondire ulteriormente la materia i due libri che ho curato insieme a Stefano Martello editi da Pacini e a cui hanno contribuito professioniste e professionisti che si occupano della materia da molteplici punti di osservazione e di lavoro: il Libro Bianco sulla Comunicazione Ambientale (2020) e L’anello mancante – La comunicazione ambientale alla prova della transizione ecologica (2022).