A che punto è la facilitazione? Intervista a Debora Rim Moiso

A che punto è la facilitazione? Intervista a Debora Rim Moiso

Deborah Rim Moiso

La professione di facilitatore è estremamente complessa e si articola su più aree.
A seconda delle tematiche e dei contesti in cui si opera tende ad assumere configurazioni piuttosto differenti tanto da rendere complesso spiegarne bene le modalità di funzionamento. Queste differenze, ovviamente, diventano ancora più significative se si comparano esperienze e modelli provenienti dai diversi paesi.

Una panoramica completa e interessante sulla professione del faciltatore è stata realizzata dal recente report “State of Facilitation 2023“, elaborato da SessionLab, una ditta di software che mette a disposizione di chi organizza workshop e sessioni di facilitazione, appunto, strumenti di progettazione creati per semplificare la costruzione di eventi e incontri. SessionLab si occupa da un decennio di divulgare la facilitazione attraverso una “biblioteca” di metodi e template, un blog e ora questo report, realizzato a partire da un questionario a cui hanno risposto più di 1100 facilitatori e facilitatrici in tutto il mondo.
A tal proposito abbiamo chiesto a Deborah Rim Moiso, facilitatrice e coautrice del report, di illustrarcene i contenuti.

Perché avete avvertito il bisogno di realizzare un report sulla facilitazione?

Da mediatori saprete che spesso si fanno le cose per soddisfare un bisogno proprio, finendo poi magari per scoprire che era un bisogno condiviso con altri. A SessionLab siamo tutti facilitatori e appassionati di facilitazione e sentivamo il bisogno di trovare uno “specchio” in cui guardarci. A che punto sta la professione? Ma quanti siamo? Come si auto-definisce chi facilita (consulente, facilitatrice, formatrice, mediatore…)? Quali sono i temi “caldi” dopo l’epoca dominata dal Covid e quindi, per il nostro mestiere, dagli eventi in remoto? Non abbiamo trovato le risposte, così ce le siamo andate a cercare. Evidentemente non eravamo i soli visto che, senza fare molta promozione data la fisiologica timidezza di quando si fanno le cose per la prima volta, hanno risposto subito più di 1000 persone!

In termini generali, qual è lo stato di salute della facilitazione?

Lo stato della salute della facilitazione è eccellente. Lo stato di salute del “facilitatore”, forse ancora patisce un po’. Mi spiego: dai dati del report ma soprattutto dalle analisi che ne hanno fatto i 6 esperti che abbiamo chiamato a commentarli (trovate le schede inframezzate la report stesso) emerge il fatto che la facilitazione come skillset, come abilità da applicare al lavoro di gruppo, è sempre più diffusa. Nel mondo anglofono forse di più ma, comunque, a seguire anche da noi, sta diventando una cosa essenziale per manager, team leader, per chiunque segua un progetto. Come saper usare un pacchetto Office, insomma.

Le competenze necessarie a gestire bene una riunione, condurre attività di ideazione o prendere decisioni insieme sono sempre più richieste, diffuse e insegnate. Invece sulla figura professionale del “facilitatore” aleggia ancora un po’ di mistero. Le persone che hanno risposto al questionario si identificano, infatti, in tanti altri modi, tra i quali appunto l’essere formatori, manager, consulenti e così via.

E’ saggio dire che più persone si interessano di facilitazione, più diventa chiaro in quali casi è necessario avvalersi di un professionista facilitatore tout court, ad esempio per grandi eventi con tanti portatori di interesse diversi. Per ora, però, non è poi così diffusa la consapevolezza
di quando chiamare qualcuno che di mestiere “facilita”.

Infatti tra le principali challenge elencate nel report da coloro che hanno risposto figurano tutte quelle legate alla reputazione: “far capire che lavoro faccio”, “far conoscere il mio lavoro” e ovviamente “trovare clienti”. Anche se poi è vero anche che i facilitatori molto esperti di lavoro ne hanno fin troppo e non sanno che farsene.

Leggendo il report viene voglia — e qualcuno lo sta facendo — di mettere in piedi più strutture per l’apprendistato e il mentoring, visto il grande divario tra chi comincia (e non trova clienti) e chi lo fa da vent’anni (e non trova più il tempo).

Quali sono i dati che più ti hanno sorpresa?

Chiamatemi ingenua ma non mi ero accorta che la facilitazione fosse donna! Filip Kiš, che ha guidato il progetto e fatto l’analisi dati, dice che era evidente, ma io non me n’ero proprio accorta! Il 62.5% delle persone che hanno risposto al sondaggio si identificano così. E guardandomi intorno, ad esempio all’ultimo incontro nazionale italiano, “Facilita” tenutosi in Marzo 2023 a Milano, posso confermare che è un mestiere dominato dal femminile.

Le analisi che ne fanno gli esperti nel report hanno scatenato molto interesse: ne sono nati interi workshop e dibattiti. La facilitazione è un mestiere identificato come “femminile” e quindi festeggiamo, perché apre alle donne le porte di grandi aziende e processi pubblici? O invece no, perché vuol dire che la facilitazione è in qualche modo presa meno sul serio di altri tipi di consulenza e addirittura (i dati raccolti sui prezzi sono ancora poco precisi, faremo meglio l’anno prossimo) pagata meno? Speravamo di aprire delle discussioni con questo report e ci siamo riusciti!

Purtroppo non mi ha stupito affatto vedere che le persone che hanno risposto provengono per lo più da USA e Europa. Questo però, volendo essere ottimisti, dice di più sui limiti delle nostre reti e della nostra promozione rispetto al vero panorama globale della facilitazione. In Giappone, ad esempio, sappiamo che è molto diffusa, ma anche in diversi paesi africani, in India, in Cina… solo che c’è strada da fare prima di avere più comunicazione tra le loro reti e le nostre! Speriamo di fare meglio l’anno prossimo!

Un altro dato stupefacente per me, che ho sempre partecipato in molte reti e comunità internazionali, è che un quarto delle persone che hanno risposto non facciano parte di nessuna rete o comunità di facilitazione. Ce ne sono a bizzeffe — in Italia facciamo soprattutto riferimento all’evento annuale Facilita (a Milano a Marzo, potete già segnare le prossime date del 14-16 marzo 2024) e al capitolo italiano di IAF, l’International Association of Facilitators, oltre che a IAP2, l’associazione per la partecipazione pubblica. A Padova, per dire, c’è un meetup di facilitatori ogni mese! Se uno mastica un po’ di inglese, le community online sono tantissime, inclusa quella di SessionLab stessa (faccio pubblicità, ma partecipare è gratis!). Unirsi a un gruppo è il modo migliore per imparare, scambiare, praticare e trovare nuove opportunità!

Dal punto di vista dell’utenza, si registra un maggiore interesse e utilizzo della facilitazione?

Anche questo un po’ mi ha stupito, sai? E’ questo il bello di avere dei dati: di mio avrei pensato che la risposta fosse sicuramente nelle grandi aziende corporate, dove si assumono facilitatori in-house per fare formazione e attività di teambuilding o lavori di gruppo. Ora però abbiamo il report e possiamo vedere i dati, e allora vediamoli: nel 2022 i facilitatori hanno lavorato nel privato, in grandi aziende di più di 250 dipendenti (54.6%). Nel pubblico (dove lavoro soprattutto anche io) in enti, in progetti europei, o nei grandi istituzioni come le Nazioni Unite o la FAO (44.4%). Nelle SME, le piccole medie imprese, in ruoli di consulenza, ad esempio per accompagnare la formazione del team (54%). Nelle ONG e con i progetti di cittadinanza attiva, che è anche dove molti si formano con le prime esperienze facilitando incontri ed assemblee – io ho imparato così (44.2%). La somma fa più di 100 perché chi facilita freelance è eclettico e fa un po’ di tutto nell’arco di un anno.

Insomma, la facilitazione è un po’ ovunque! Se ci sia un “maggiore interesse” rispetto a prima… io penso di si, ma per avere i dati dobbiamo aspettare l’anno prossimo: è la prima edizione del report e non abbiamo informazioni da dare sulle variazioni nel tempo!

Rispetto al futuro, quali sono le tendenze che sembra più importante monitorare?

Prima di tutto la questione della diversity. E’ importante per noi che organizziamo il sondaggio ma è importante per la professione intera, andare a vedere chi sta davvero facilitando al di là del contesto Occidentale e che cosa fa, che strumenti usa, come lavora. I facilitatori neozelandesi e canadesi, per dire, cominciano le sessioni con un saluto al territorio e un riconoscimento dei nomi originari indigeni e aborigeni del luogo in cui si trovano. E sul tema di FacilitAmbiente, sempre in Nuova Zelanda lavorano molto sulla prevenzione dei conflitti ambientali, e ci sono facilitatori di origine maori che si dedicano a questo, integrando punti di vista contemporanei e tradizionali. Abbiamo tanto da imparare gli uni dagli altri!

Su un simile tema, ci piacerebbe vedere più giovani nella facilitazione. Al momento sono pochissimi (3.4% di ventenni!) e per forza: i percorsi di formazione dedicati, ad esempio in università, si contano sulle dita di una mano, quindi si arriva a facilitare dopo aver fatto altro. Questo ha i suoi vantaggi: è chiaro che se devi aiutare un team di senior management a creare la strategia per una multinazionale è utile avere un po’ di esperienza in azienda… ma abbiamo anche bisogno del punto di vista delle nuove generazioni, e per averlo abbiamo bisogno di più programmi di formazione dedicati alle capacità di facilitazione in quanto tali — di formazione sui singoli metodi ce n’è quanta ne vuoi, ma di formazione generale, un po’ meno. Un tempo sognavo la facoltà universitaria, ora preferirei immaginare la cattedra: insegnamenti e laboratori di facilitazione sparsi per tante facoltà, da architettura a sociologia, da scienze della comunicazione a giurisprudenza.

Poi ci sono questioni più tecniche che vogliamo tenere monitorate: col finire dell’emergenza pandemia, torneremo a incontri soprattutto in presenza o manterremo le riunioni online? O domineranno modelli ibridi? Abbiamo notato attraverso i dati raccolti nel report che le sessioni facilitate sono attualmente molto corte, perché l’online lo esige: sessioni di una o due ore dove prima si facevano i ritiri di due giorni. Che succederà con il passare del tempo?

Aiutateci anche voi a diffondere il report, così lo scopriamo insieme: lasciando la vostra mail nel modulo che trovate all’inizio e al fondo della pagina verrete avvisati non appena esce il sondaggio per il 2023, con cui prepareremo il report del 2024.